Ci sono le pulizie di primavera, e poi ci sono le deframmentazioni delle notti di mezza estate: entrambe sono forme di riordino, ma seguono logiche diverse.
I miei hard disk sono una specie di internet off-line intimo-privato e rispecchiano profondamente il caos della mia mente e il caos delle case in cui vivo. È surreale quanto sia evidente lo schema con cui ripongo le cose.
Come quando ritrovi il comodino (?!) della casa in cui vivevi quando avevi 7 anni, nel container dimenticato che hai piazzato nel giardino della casa in cui stai adesso e dentro ci trovi cavi inutilizzabili perché è passato molto tempo, taccuini della pigna, console obsolete di quelle che si compravano ai bazar e figurine sparse.
Il bello e il brutto è che il tempo fa una cernita a prescindere e quello che non doni/usi/rilasci, spesso va perduto.
Mi sono sempre chiesto dove vanno le cose che si perdono. Ho un rapporto LETTERALMENTE disperato con ciò che si perde. A maggio ho perso una cartella piena di scritti e foto e persino un progetto a cui stavo lavorando che era quasi completo ed è stato traumatico quasi come quando in prima elementare ho perso la mia primi bici. L’ho persa, la bici dico, perché l’ho dimenticata. Sono andato a trovare le mie maestre d’asilo pedalando e poi sono tornato a casa a piedi bello allegro e fischiettante. Quando mi è venuto in mente (è venuto in mente a mia madre) che ero andato in bicicletta era già tardi e anche se siamo tornati a cercarla non c’era più.
Ho scritto questa poesia a Trento nel 2021, doveva essere destinata a instagram perché in quel periodo vedere la fake poesia su instagram e tutto un certo fermento fasullo (almeno così la vedevo io) mi faceva venire il voltastomaco. È anche in quel periodo che ho cominciato a usare instagram male, con una certa strana contorsione autoironica e mascherante che vabbè è periodica e ci sta.
Resta un fatto però… mi dispiace you can’t pretend poetry.
In quello stesso periodo vivevo accanto al castello del Buon Consiglio e c’era un parco di rose proprio di fronte casa mia e sempre di fronte casa mia c’era questa pizzeria che si chiamava Bella ‘mbriana e che faceva la migliore pizza di Trento. E Capatella (la tartaruga) ancora non si era data alla fuga, che ogni volta che torno giù in Campania mio zio mi dice che l’ha vista aggirarsi nel giardino di casa nostra, ma è impossibile.
Intanto, buona deframmentazione di una notte di mezza estate a tutt*